Per raccontare come ho conosciuto AIL, devo risalire a… 45 anni fa, quando decisi di diventare donatore di sangue. Da allora il gratificante rapporto con l’AVIS durò fino alla fine del 2001, quando alla soglia della novantesima donazione, in occasione degli esami generali che annualmente Avis esegue su tutti i donatori, mi vennero rilevati valori anomali per le piastrine e i globuli bianchi. Ripetei gli esami a distanza di qualche settimana, sospendendo ovviamente le donazioni, ma senza particolari preoccupazioni, nemmeno da parte dei medici, visto che il mio stato di salute continuava ad essere buono. Ripetendo gli esami, le anomalie però continuavano a confermarsi; il mio medico mi inviò quindi al reparto di Ematologia del “Bufalini”, dove, dopo un ulteriore controllo, mi venne praticata una biopsia midollare che rilevò la presenza di cellule “capellute”, con diagnosi di “tricoleucemia”.
Il responsabile di Ematologia mi spiegò quale sarebbe stato il percorso che avrei dovuto affrontare, rassicurandomi – devo dire riuscendoci molto bene – sulle buone probabilità di soluzione positiva della terapia, grazie all’utilizzo di un farmaco molto efficace (Leustatin), introdotto da alcuni anni al posto dell’interferone usato in precedenza. Dopo la breve chemioterapia, effettuata nel 2002, continuo a tutt’oggi a sottopormi a controlli periodici, all’incirca ogni nove mesi, presso gli ambulatori di Ematologia di Cesena.
Forte di quella esperienza ho accettato di buon grado di avvicinarmi all’Ail mettendomi a disposizione anche per entrare nel consiglio di amministrazione. Una esperienza che, dopo quella in Avis, mi ha confermato quanto siano preziose le associazioni di volontariato socio-sanitario. E l’Ail, con i suoi progetti di assistenza domiciliare sul territorio provinciale e col sostegno ai giovani medici, si dimostra un elemento cardine a supporto della sanità pubblica a beneficio dei malati.
Costante Amadori