Dottoressa Delia Cangini Ematologa IRST-IRCC
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (Cse) consiste nella infusione attraverso una vena di precursori delle cellule del sangue che stanno nel midollo osseo e hanno la capacità di auto rinnovarsi, differenziarsi nelle varie cellule del sangue (globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) e tornare a posizionarsi nel midollo osseo stesso (homing). Il trapianto di Cse può essere autologo (quando vengono reinfuse le cellule staminali del paziente stesso) o allogenico (quando vengono reinfuse le cellule staminali di un’altra persona). Le indicazioni ad eseguire un trapianto di Cse possono essere il trattamento di neoplasie ematologiche e non o anche il trattamento di alcune malattie benigne (insufficienza del midollo osseo, malattie congenite del metabolismo o del sistema immunitario). In queste ultime lo scopo del trapianto è quello di sostituire un midollo malato con un midollo sano e quindi si tratta sempre di trapianti di Cse allogeniche.
Nelle neoplasie ematologiche, invece, lo scopo del trapianto è quello di eradicare una malattia particolarmente resistente sfruttando con questa procedura la possibilità di poter eseguire prima una chemio-radioterapia a dosi molto elevate e la possibilità poi di avere un effetto immunologico delle Cse trapiantate contro la malattia stessa. Infatti una chemio-radioterapia a dosi massive determina una importante tossicità a livello del midollo osseo con conseguente deficit della sua attività e riduzione di globuli rossi, piastrine e globuli bianchi (pancitopenia) per molto tempo. Questa condizione significa un aumentato rischio infettivo con necessità di ricovero in isolamento in camere a bassa carica microbica e la possibile necessità di trasfusioni di piastrine e globuli rossi. Per ridurre al minimo possibile il periodo di pancitopenia vengono reinfuse, a distanza di qualche giorno dalla chemio-radioterapia, le Cse che ripopolano il midollo osseo permettendone una ripresa di attività in tempi ragionevoli (indicativamente 10- 15 giorni). L’effetto immunologico delle Cse trapiantate contro la malattia, la cosiddetta Graft versus leukemia (Gvl), è più pronunciato verso certe malattie rispetto ad altre e avviene solo se il trapianto è allogenico. In questo, infatti, vi è una diversità tra le Cse trapiantate che provengono da un’altra persona e l’organismo del paziente stesso. Tale differenza crea una sorta di “guerra” tra il nuovo sistema immunitario originato dalle Cse trapiantate e la sua nuova “casa” ossia l’organismo del paziente. Questo “conflitto” può determinare un “rifiuto” del paziente verso il tessuto trapiantato (rigetto) e una “reazione” delle cellule trapiantate verso l’organismo del paziente (la cosiddetta Graft versus host disease:Gvhd), ma anche verso la malattia che si vuole curare (Gvl). La reazione del nuovo sistema immunitario verso l’organismo del paziente (Gvhd) può essere anche mortale e, assieme al rischio di rigetto, è il motivo per cui è necessario che ci sia la maggior compatibilità possibile tra donatore e ricevente. Sempre per minimizzare il rischio di Gvhd e rigetto è inoltre necessario l’utilizzo di un trattamento con farmaci immunosoppressori anche per molti mesi con relativo aumentato rischio infettivo per il paziente. Nel trapianto allogenico quindi è fondamentale ottenere il delicato equilibrio tra le Cse trapiantate e l’organismo del paziente per poter sfruttare al massimo l’effetto contro la malattia (Gvl) riducendo il più possibile il rischio di rigetto o Gvhd. Le Cse possono essere raccolte o dal midollo osseo o dal cordone ombelicale o dal sangue periferico. Per raccogliere le Cse dal midollo osseo è necessario sottoporre la persona a multiple aspirazioni dalla cresta iliaca posteriore in sala operatoria in anestesia totale. La raccolta delle Cse dal cordone ombelicale avviene al momento del parto e non determina alcun rischio per la madre o il bambino. La raccolta delle Cse dal sangue periferico avviene invece da una vena periferica tramite una procedura aferetica della durata di qualche ora. Per poter raccogliere le Cse dal sangue tuttavia è necessario stimolarne prima la mobilizzazione dal midollo osseo utilizzando una chemioterapia e/o farmaci stimolatori delle cellule granulocitarie. Questi ultimi sono utilizzabili anche nel donatore sano senza importanti effetti collaterali se non dolore alla milza e alle ossa.
Attualmente la fonte preferita per la raccolta delle Cse è il sangue periferico in quanto la procedura è meno rischiosa dell’espianto di midollo e le Cse ottenute sono più numerose (anche per il maggior volume di raccolta) rispetto a quelle da cordone ombelicale, con un conseguente molto minor tempo di attecchimento e quindi di pancitopenia post trapianto. Inoltre, le Cse raccolte da sangue periferico, rispetto a quelle da espianto o da cordone ombelicale, pur determinando un maggior rischio di Gvdh hanno però una maggior probabilità di effetto Gvl. Il donatore di midollo può essere un volontario o familiare (la massima compatibilità è possibile tra fratelli e sorelle) o sconosciuto. Esistono, infatti, registri che raccolgono le caratteristiche genetiche dei donatori volontari di midollo in tutto il mondo e, in questi vengono cercate eventuali Cse compatibili con il paziente che si vuole trapiantare. Il registro mondiale (Bone marrow donors worldwide: Bmdw) ha sede in Olanda. Quello italiano invece ha sede a Genova (Italian bone marrow donor registry, Ibmdr).
In conclusione il trapianto di Cse è ancora un’importante arma terapeutica che l’ematologo ha a disposizione contro le malattie più resistenti alle terapie standard, in quanto permette di usare dosi molto elevate di chemio- radioterapia con successiva cito-penia di durata ragionevole e, nel caso di trapianto allogenico, permette di associare anche un effetto immunologico. La scelta sull’utilizzo di un trapianto allogenico o autologo è legata, oltre alla disponibilità di un donatore compatibile la cui ricerca può richiedere molto tempo, ad una valutazione rischio-beneficio della procedura. È, infatti, necessario prendere in considerazione l’urgenza di eseguire la procedura (il trapianto autologo non richiede tempo per la ricerca di un donatore), la possibilità di avere un effetto Gvl (che non è di uguale efficacia contro tutte le patologie), l’età e le condizioni cliniche del paziente. Bisogna inoltre tener presente che nel trapianto allogenico vi è un rischio aggiuntivo rispetto al trapianto autologo legato alla possibilità di una Gvhd, di un rigetto o comunque legato alla terapia immunosoppressiva post-trapianto.